CAPITA ANCHE NELLE MIGLIORI FAMIGLIE

La storia di Betti è la storia di una bella ragazza, giovane e precoce, piena di vita e di speranza, iniziata a quattordici anni, dopo la morte prematura ed improvvisa della mamma, a soli quarant’ anni e proseguita poi, a diciott’anni e fino ad oggi, con una gravidanza inaspettata,
un matrimonio solido ed una gioventù che rincorreva divertimento
e spensieratezza. Betti ha avuto il suo primo figlio – Danilo – appena maggiorenne: un bambino “bello come il sole” , coi capelli color oro,
arrivato a sorpresa, che ha saputo rinsaldare il legame di coppia, unire
i nonni e offuscare il lutto della perdita della nonna materna, ma anche aprire una strada inaspettata, capace di stravolgere equilibri, progetti, pensieri, preoccupazioni che cambiano la vita. Oggi Betti ha sessantasette anni,
è sposata da quarantanove, è una nonna disponibile ed amatissima,
ha due figli, il primo di quarantott’ anni ed il secondo di trentacinque.
Ha lavorato nel commercio ma è volontaria e presidente dell’Associazione Amici di San Patrignano Treviso. Ogni giorno, aiutando i giovani affetti
da dipendenze e i loro genitori, lotta contro il “male oscuro” e contrasta
la droga.
“Mai avrei pensato” – racconta- “che mi sarebbe potuto capitare.
Eravamo una bella famiglia, giovane e piena di amore. Avevamo tutto,
non ci mancava niente. I nonni ci aiutavano ed ho potuto tirar su mio figlio senza troppi problemi. Non sapevo neanche cosa fosse una canna.
Invece la droga è arrivata, nella nostra bella casa, comprata coi sacrifici
del lavoro, ed ha colpito il nostro ragazzo, Danilo, a soli diciassette anni.
Da quel giorno, non ne siamo più usciti.
La droga è un tunnel in cui sai quando entri e non sai quando e come ne esci. È – come mi ha detto fin da subito il mio caro amico della comunità
di San Patrignano – ‘un cancro che va curato e che non bisogna lasciar andare in metastasi’. Danilo era un bambino vivace e ribelle, a scuola
ne faceva di tutti i colori, spesso prendeva note e veniva sospeso,
ma siamo riusciti ad arrivare al diploma. Poi il primo lavoro, in officina,
le discoteche, gli amici. Era un ragazzo come tanti.
Di colpo, è arrivato il cambiamento. Una calma apparente ed i primi, strani segnali: trascuratezza, disattenzione, conti che non quadravano.
In breve siamo arrivati alla Digos, un amico che conoscevamo lo seguiva
da tempo. Poi la confessione, liberatoria, chiara, potente: ‘si mamma,
mi drogo, non solo canne, ma cocaina ed eroina, ho iniziato un anno fa
ed ho già fatto l’escalation’. È stato un dolore forte, lancinante, forse peggiore di quello provato a quattordici anni con la morte di mia mamma.
Da quel momento è iniziato un calvario, non solo mio, ma di un’intera famiglia, di mio marito e del mio secondo figlio che all’epoca era un bambino. All’inizio abbiamo pensato subito che ce la potevamo fare, con amore, dialogo ed i medici del Sert. Ci siamo accorti ben presto che non sarebbe stato facile uscirne: la resistenza ai trattamenti, il dominio psicologico
della dipendenza, la fragilità che persiste, le mille domande irrisolte, i consigli dei medici. I nostri trent’anni con la droga sono passati attraverso varie fasi che hanno alternato lunghi periodi in comunità a periodi di lavoro e anche successi, momenti di allontanamento forzato e profondi riavvicinamenti,
e ben tre, forti, pesanti, ricadute.
Abbiamo iniziato con l’approccio razionale: il Sert, i medici, i farmaci,
la prima comunità, la terapia. Poi – vista la prima ricaduta – abbiamo capito che era necessario rimettersi in gioco e che la guarigione doveva passare solamente da una scelta profonda, libera, autentica, responsabile di Danilo. Nulla di imposto poteva funzionare: per uscirne, bisogna crederci fino
in fondo e porsi di fronte alle proprie responsabilità. Siamo approdati
al gruppo locale di San Patrignano (a Castello di Godego) pieni di speranze
e già reduci da una prima delusione.
Lì abbiamo trovato genitori con la nostra stessa esperienza, aiuti veri
e sinceri e da li siamo ripartiti. Abbiamo dovuto imparare, con tanta sofferenza, a non accoglierlo continuamente in casa, ma a lasciarlo solo
di fronte alle proprie responsabilità. La guarigione doveva partire
da una scelta profonda di autonomia, non dai farmaci.
Da un uomo ormai adulto che voleva uscirne, non da un figlio aiutato
e protetto. È stata durissima: ho dovuto fare quello che una mamma
non penserebbe mai di fare: chiudergli la porta di casa in faccia, lasciarlo vagare fuori al freddo, sotto la pioggia, in pieno inverno, per giorni e giorni, far passare il Natale senza dare segnali, aspettare il suo ritorno forte
e motivato, con la convinzione vera di andare in Comunità. Danilo è tornato, una, due, tre volte, ha scelto di prendere il treno per San Patrignano, ha fatto
tutto il percorso riabilitativo, ha lavorato in molti settori, ha liberato risorse,
ha saputo dare il meglio di sé, ha superato distacchi e fatiche, è stato anche per alcuni periodi all’estero. È arrivato alla disintossicazione con tempi lunghi, è tornato e si è inserito nel mondo del lavoro, ma è incappato in un’altra, grande, potente, delusione. Un’unione di coppia sbagliata con una ragazza conosciuta a San Patrignano, che aveva già una figlia di sei anni (Arianna, amata come una nipote). La relazione è durata poco, ha incrinato l’equilibrio faticosamente raggiunto ed ha portato con sé un’altra ondata di sofferenze: amori, liti, separazioni, depressione, alcol. È diventato papà di Emma,
che oggi ha nove anni, capelli dorati ed un carattere forte. Emma, in quanto figlia di genitori ex tossicodipendenti è seguita dai servizi sociali
ed ha il sostegno a scuola. Entrambi i genitori si portano dietro anni
di fragilità, debolezze e dolori, io e mio marito cerchiamo di essere il suo punto di riferimento sicuro e la aiutiamo. Oggi Danilo non è completamente autonomo ma si rende utile ed ha iniziato un lavoro nel settore dell’assistenza che lo appaga, riesce a vedere Emma grazie al buon rapporto coi servizi sociali, la sua presenza in casa è positiva. Abbiamo imparato a vivere
il presente, ad accontentarci delle piccole, grandi, conquiste quotidiane,
le telefonate serali con Arianna ed Emma sono una gioia e mi fanno credere che esista ancora, per Danilo, Emma, Arianna e per tutti noi, una porta
che si apre verso la serenità che la droga ci ha sottratto per troppo tempo.
Il prossimo anno festeggerò i cinquant’ anni di matrimonio, ne abbiamo passati trenta a lottare contro la droga e siamo rimasti uniti. Ogni giorno aiuto altri genitori, giovani come ero io, a tirar fuori la forza per affrontare questo dramma. Capita anche nelle migliori famiglie”.