LA RAGAZZA CHE SUSSURRA ALLE PECORE

Mettila di fronte ad una sfida e gli sarebbero venute una, due, tre idee, forse di più. Si potrebbe parafrasare così, la storia di Katy Mastorci, toscana di origini, con radici venete ben radicate, trentasette anni,
due bambini (di cinque anni e venti mesi), un marito, Laurea e Dottorato in Biotecnologie ed un’Azienda agricola bio innovativa – l’unica
che lo scorso anno è stata in grado – nella Pedemontana trevigiana,
di accedere ai contributi del PSR (Programma Sviluppo Rurale)
per il “Sostegno a investimenti nelle aziende agricole”.
Katy al momento di questa intervista – contando la sequenza delle idee
– è alla numero uno (realizzata), ma la seconda e la terza sono già in fase
di decollo. L’Azienda agricola: la Vitiotec – il cui brand Reghét significa
nel dialetto della zona “germoglio che rinasce” – è già una realtà importante, il mini – caseificio è praticamente pronto e per l’agri – alloggio manca poco. In una sola formidabile realtà unisce agricoltura, commercio, turismo, viticoltura, pastorizia, tecnologia, innovazione.
A tutto questo si aggiunge l’impegno civico: è Vicesindaco del suo Comune, con l’Assessorato all’Agricoltura e all’Ambiente, eletta in una Lista Civica “anche se non pensavo di prendere tutti quei voti…”, punto di riferimento per le donne
e portatrice di innovazione allo stato puro. Lo scenario è quello suggestivo di un piccolo paese della Pedemontana: Osigo, frazione di Fregona: trecentoventisette metri di altitudine e poco più di ottocento abitanti.
Katy è una di quelle persone che sono state capaci di dare le grandi svolte alla vita, di intuire il momento giusto per cambiare. Una capacità innata, forse in parte ereditata da una mamma giovane e coraggiosa
e da una nonna veneta che ha saputo educarla all’impegno, alla fatica,
allo studio, al risultato. Grazie a questa capacità, ha saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Dopo la Laurea in Biotecnologie a Padova, l’Erasmus
a Barcellona, durante il dottorato ha sviluppato un progetto importante
in Svizzera, c’è stato il lavoro al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano: “dieci anni di ricerca sui linfomi, un lavoro duro, ma intenso ed appassionante che mi ha consentito di fare pubblicazioni e di ottenere buone soddisfazioni. Quando sono arrivata all’ultima borsa vinta, quella dell’Airc (tre anni),
con cinque mesi della prima maternità non pagata e nessun contributoprevidenziale versato, ho capito che sarebbe stato l’ultimo rinnovo
e che era finalmente giunto il momento di cambiare. Mi ero stancata
di un mondo in cui si poteva contare su una fantomatica “piramide
del ricercatore” come soluzione al precariato, il numero di pubblicazioni
con “primo nome, secondo nome”, quei progetti tutti a scadenza ma senza
il dovuto riconoscimento adeguato ai livelli di conoscenza. Noi ricercatori
in borsa di studio eravamo considerati lavoratori ai fini Irpef, ma studenti
per tutti gli altri aspetti. Non mi è mai piaciuto l’atteggiamento
di chi si lamenta ma sta solo a guardare, aspettando che le cose cambino
da sole. Ho avuto la fortuna di incontrare un ragazzo della zona di Fregona, poi diventato mio marito, Manuel, che ha la mia stessa passione
per la natura e che mi ha sostenuto, insieme alla sua famiglia, nelle scelte. L’idea imprenditoriale è scaturita dalla conoscenza di uno sport: lo sheepdog, passione dei proprietari dei border collie, cani che vengono utilizzati
per la conduzione di greggi. Ho imparato le basi di questo sport
a Fontanafredda e poi tutto è venuto di conseguenza. Ho investito subito sulle pecore: sono animali pieni di risorse. Sono partita – nel 2012 –
con l’acquisto condiviso con amici di sei pecore, ora ho un gregge tutto mio di cinquanta pecore, teniamo puliti dieci ettari di pascolo, parte di nostra proprietà parte in gestione. Ho poi ampliato l’azienda acquistando tre ettari
e mezzo di vigneto, produco, per ora, tre tipi di vini che vendo a privati
e ristoratori, il laboratorio per le piccole produzioni locali è quasi pronto
e l’agri – alloggio sarà la stalla qui dietro, ho già il progetto pronto.
Punto al benessere degli animali e traduco la sostenibilità in fatti concreti.
Il passaggio dallo studio dei linfomi all’allevamento delle pecore non è stato facile. Ho avuto la spinta iniziale da mia mamma – che nel frattempo
era tornata in Toscana – pur dispiaciuta per l’apparente abbandono
degli studi scientifici, ha creduto in me e mi ha aiutato. In poco tempo,
grazie anche all’aiuto della famiglia di mio marito ed all’abitudine allo studio, ho acquisito le competenze per affrontare l’ovicoltura. Ho scelto pecore autoctone, di razza alpagota, che hanno tre grandi attitudini: producono latte, carne (l’agnello allevato da noi è un presidio slow food), e lana.
La mia impresa racchiude tutto il ciclo produttivo: la tecnologia
è fondamentale, così come la capacità di accedere ai fondi.
Ero abituata a correre contro il tempo per i bandi e per scrivere progetti
quando facevo ricerca, ed ora, di notte, quando i bambini sono a letto, accendo il computer e mi occupo della parte burocratica e aziendale.
Mi leggo i bandi fino all’ultima riga e partecipo. Per rientrare nell’ultimo bando serviva un titolo: mi sono fatta il corso col secondo bambino di quindici giorni praticamente sempre in braccio. Mi sono costruita da sola il sito, strumento fondamentale per un’azienda, sempre lavorandoci di notte.
In questo periodo, coi bambini a casa e durante tutto il lockdown, la fatica l’ho sentita tutta. Mi manca il tempo per seguire bene le cose, faccio tutto
di corsa ma quando arrivo al pascolo la fatica passa e mi si apre il cuore.
Le mie pecore riconoscono la macchina da lontano, con ognuna di loro
ho un rapporto speciale, sono le mie Muse ispiratrici, per ciascuna,
ho riservato un nome speciale, spesso ritrovo in loro la naturale ispirazione
a nuove idee o soluzioni. Non a caso, una delle mie preferite si chiama Talia, come una delle Muse greche.”