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2021

SOGNANDO CHIELLINI, INSIEME OGNI GIORNO

SOGNANDO CHIELLINI, INSIEME OGNI GIORNO
Simona ha quarantotto anni, alta e con occhi scuri ed intensi, fa la parrucchiera a Treviso da quando ne aveva sedici, ha mani d’oro, tocchi fatati, visioni anticipatorie ed una naturale propensione al bello ed al buono. Con un mix di eleganza, stile personale e naturalezza, trasforma i volti con semplicità e colora le chiome, nasconde i difetti ed esalta i pregi, sa confortare e motivare al cambiamento, comprende le timidezze e sa rapportarsi con chiunque. È chef per passione e per gli amici, sa allestire tavolate con scenografie uniche ed addobbi da fare invidia ai mercatini altoatesini. Una vita sana – felice – se vogliamo concedere alla retorica di quella felicità in cui “non manca praticamente nulla” – ancorata a profonde radici venete e trevigiane, a genitori operosi, previdenti e saggi, capaci di aiutare i figli nel modo giusto.
Una vita che scorre tranquilla – tra un lavoro, scelto con determinazione a sedici anni, in un mondo in cui è entrata da stagista e ci è restata come imprenditrice, con una unione di coppia serena con Tiziano che dura da oltre venticinque anni, un bambino voluto e arrivato dopo oltre dieci anni di convivenza, tempi cadenzati tra lavoro in negozio e nonni baby sitter “a tempo”, una casa accogliente e sistemata in base a spazi, passioni ed hobby, vicina ai genitori, una rete di amici forte che contorna allegramente i sabati, le domeniche, le feste, le vacanze, i week-end. Lo stop – quello che cambia la vita e costringe a rimettersi in gioco – è arrivato il 21 ottobre 2011, quando T., il bambino che all’epoca aveva tre anni ed aveva appena iniziato la scuola materna, casca e perde i sensi in un tranquillo pomeriggio a casa dei nonni paterni. “Ho ricevuto la telefonata dal mio compagno mentre stavo tornando dal lavoro, racconta. T. sta male, mia mamma non sa che fare, vado a prenderlo, chiama la guardia medica intanto…”. Senza capire cosa fosse effettivamente successo, d’istinto ho capito che l’emergenza era grande e sono corsa a preparare la borsa coi cambi ed il libretto sanitario della nascita. Siamo andati in velocità in Ospedale con T. totalmente privo di sensi, pensavamo fosse morto. All’arrivo al Cà Foncello non ci sono stati dubbi e l’ingresso in Pediatria è stato tutt’uno con la terapia: ossigeno, flebo, tac, risonanza. Una notte concitata con la diagnosi sempre più chiara: ischemia cerebrale con danni al 97% delle vene ed interessamento delle carotidi. In pratica, è capitato quello che capita ai bambini molto piccoli con le morti bianche, si è salvato solo perché aveva superato i tre anni. Un caso rarissimo che ha lasciato di stucco medici, operatori ed entrambi i reparti, sia quello di Treviso, che ci ha accolto in emergenza, che quello di Padova, dove abbiamo affrontato il primo tratto del percorso. Quella notte ho solo pensato che intanto era vivo, respirava, e me lo sono fatto bastare, ho ringraziato il Signore: poteva essere morto. A mezzanotte è arrivato mio fratello Omar che si trovava fuori provincia per lavoro: solo per dirmi che come zio era con me, con noi, “se avete bisogno ci sono”. Nei giorni successivi poteva succedere qualsiasi cosa, nessuno faceva previsioni, la situazione era delicatissima, ma la certezza di essere di fronte ad una montagna da scalare c’era. Quella notte è stata lo spartiacque della mia vita: c’è stato un prima, tutto sommato semplice e prevedibile, e un dopo, fatto di cure, conquiste, interventi, attese, che tuttora hanno trasformato la mia vita in una normalità fatta di riabilitazioni, fisioterapie, date per gli interventi. La forza di affrontare ciò che non conosci non pensavo di averla, ma ha contribuito a tirarmela fuori la dottoressa Da Dalt, oggi Primario a Padova, all’epoca medico in servizio a Treviso: “signora non si preoccupi ne verremo fuori, la mando a Padova con dispiacere ma le prometto che verrò a trovarvi e che non vi abbandono”. Quella frase mi risuona ancora, ogni giorno, quando mi guardo indietro e penso al lungo percorso fatto negli Ospedali. La dottoressa Da Dalt ci è sempre venuta a trovare, ogni mercoledi, a Padova, nei nostri lunghi ricoveri e non finirò mai di ringraziarla. E insieme a lei anche la dottoressa Cossettini e tutti i medici, fisioterapisti e sanitari che ci hanno aiutato e seguito negli anni, contribuendo ognuno col proprio contributo di coraggio, scienza e professionalità, a tentare di ridurre i danni in quella parte destra del corpo rimasta lesa. I passi sono stati lenti e scanditi: il primo, il più confortante, è arrivato al quarto giorno, quando T. ha ripreso a parlare da solo: “mamma mi metti Rai Yo Yo?”. Il linguaggio c’era, mancava tutto il resto, ma ho capito che avremmo potuto farcela. Da lì in poi la strada è stata tutta in salita, abbiamo iniziato il nostro viaggio, la nostra avventura nella disabilità, ma abbiamo incontrato maestre meravigliose, compagni alleati, amici veri. Intorno a me, al mio compagno Tiziano e a T. si è stretta una comunità affettuosa: fatta di amici carissimi come Monia, Massimiliano, Giorgia, cugine lontane come Tata e Camy che sono come sorelle e molti altri. Non ci hanno mai lasciato soli ed ogni controllo è una conquista comune. Oggi T. è al quarto intervento ed altri ne dovremmo ancora fare, e la Clinica di Rimini sul mare è la nostra seconda famiglia perché ci passiamo gran parte delle nostri estati. Organizzo il lavoro in negozio con turni verticali e mi alterno all’assistenza col mio compagno, coi nonni o con mio fratello, non lo lasciamo mai solo. Abbiamo ricevuto disegni, striscioni, regali, video con gli ‘in bocca al lupo’, diplomi di coraggio. La fisioterapia fa parte della nostra vita quotidiana. T. conosce i termini medici, si rapporta con qualsiasi dottore, capisce che quando un medico dice ‘è per il tuo bene’ non ci si può opporre, partecipa alle scelte ed ascolta tutti i colloqui, affronta consapevolmente il suo dovere di piccolo paziente e sa essere orgoglioso dei risultati raggiunti. Sogna di poter giocare a calcio, come tanti ragazzini, ma non lo ha mai potuto fare. È iuventino sfegatato, la sua camera bianconera lo conforta, il calciatore Chiellini è il suo mito. Mamma dai, anche io giocherò presto, vedrai. Insieme, sempre, ogni giorno più forti.”